Batsoà piemontese, un’antica ricetta

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Batsoà piemontese, un’antica ricetta

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Ingredienti

Calcola le porzioni:
(o di maiale) 2 interi o 4 metà di piedini di vitello
qualche cucchiaio di aceto rosso
sale
pepe nero
per il brodo
acqua
1 bicchiere di vino bianco
1 bicchiere di aceto bianco
2 carote
2 coste di sedano
1 cipolla
2 rametti di rosmarino
2 foglie di alloro
bacche di ginepro
per la frittura
pangrattato
uova intere
olio di arachide
abbinamento vino
Barbera d'Asti DOCG Bricco dell'Uccellone
Monferrato Dolcetto DOC

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Caratteristiche:
  • bollitura
  • frittura
Cucina:

Joe Gillis (William Holden) a Max von Mayerling (Erich von Stroheim): "Ci fu un maharaja che venne dall'India per avere una delle sue calze di seta: quando la ottenne, ci si strangolò." dal film Viale del tramonto, 1950

  • 3 ore
  • Porzioni 2
  • Facile

Ingredienti

  • per il brodo

  • per la frittura

  • abbinamento vino

Istruzioni

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Ultimo aggiornamento il 5 Novembre 2022 by Cristina Perrone

Un nome strano per un piatto povero della vecchia cucina piemontese. Il nome deriva dal francese “Bas de soie”, che vuol dire “calze di seta”, più che un’allusione alla tenerezza e alla sericità del cibo in questione, un’allusione ironica alla somiglianza fra il piedino e le calze da seta femminili di un tempo. Con l’andar del tempo nel piemontese parlato è poi diventato “batsoà”.

Nel 1766 viene stampato un libro, o più precisamente un trattato, intitolato “Il Cuoco Piemontese perfezionato a Parigi”, che divenne una specie di Bibbia per i cuochi piemontesi del tempo. Non si sa chi lo scrisse, praticamente ricette, materie prime e procedimenti imparati a Parigi vengono adattati a materie prime e gusto piemontese.

Da tempo si sa che la cucina piemontese risente di influenze liguri e francesi, frutto proprio dei naturali confini, ed è composta da piatti nobili sabaudi e da piatti della cultura rurale. Terra ricca di ottimi prodotti della terra e di allevamento, la gastronomia del Piemonte attinge a piene mani proprio dalle sue ricchezze gastronomiche.

Scopriamo quindi questa ricetta, che si usava soprattutto nel periodo di carnevale, e non è altro che degli zampini di vitello impanati e fritti. Il piedino di vitello è anche la parte da cui si ricavano i nervetti, che vorrei ricordare che non sono composti dal grasso, ma da cartilagine. Sono quindi ipocalorici e ipolipidici. Una porzione standard, intorno ai 100-150 grammi, ha all’incirca 90-135 kcal. (fonte: mypersonal trainer). Si possono usare anche i piedini di maiale, in questo caso avranno più o meno le calorie di una salsiccia.

Da brava toscana io adoro il quinto quarto.

 

Pâté di fegatini di pollo e petali di rose su base di pancotto con gelatina al porto

 

Basta coi soliti filetti senza personalità, ogni tanto adoro gustare qualcosa che sia diverso dal solito. Oltretutto spendendo davvero poco, perché i piedini di vitello costano davvero poco, e si ha a disposizione un piatto dalle consistenze particolari e dal gusto importante.

E siccome devo sempre stravolgere le cose, facciamo come hanno fatto gli chef stellati Juri Chiotti e Diego Rossi. Chef del ristorante “Delle Antiche Contrade” di Cuneo. Effettivamente i batsoà sono un po’ bruttini da vedere. (d’altra parte cosa pretendiamo da un piatto della tradizione). Ma gli chef ne hanno fatto una versione un po’ più bella da vedere e da mangiare. Ovviamente potevo io esimermi dal farlo? Ogni tanto mi possiede lo spirito del “gastrofighettismo”! Ma la ricetta è sempre quella della tradizione, cambia solo il modo di presentarla.

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Steps

1
Fatto
3 h

puliamo i piedini e cuociamoli

Li vendono già puliti, ma diamo una controllata: bruciamo le setole rimanenti sul fornello, e con la lama di un coltello raschiamo eventuali parti rimanenti. Stiamo attenti soprattutto fra le pieghe della pelle, è lì che dobbiamo pulire bene. Lasciamoli a bagno in acqua fredda per mezz'ora circa.

Appena pronti tuffiamoli in una pentola con dell'acqua fredda e mettiamola sul fuoco. Quando l'acqua bolle abbassiamo un poco la fiamma, e la prima mezz'ora circa controlliamo se è necessario schiumare per togliere le impurità, che darebbero un gusto amaro.

Facciamo cuocere per circa un'ora, sempre schiumando in caso di necessità. Dopo un'ora non saranno ancora pronti, perché devono cuocere 2 ore e mezza/tre in tutto, però cambiamo l'acqua, che si sarà intorpidita.

Scoliamo i piedini, riempiamo la pentola con altra acqua pulita, alla quale aggiungeremo tutti gli ingredienti per il brodo, compreso il vino e l'aceto. Aggiungiamo i piedini che avremo sciacquato e mettiamo la pentola sul fuoco a fiamma alta. Appena bolle abbassiamo la fiamma e terminiamo la cottura, dovremo cuocere fino a che la carne non è così morbida che si stacca dall'osso, per circa un'altra ora e mezza/due.

2
Fatto

riposo di una notte

Una volta cotti scoliamoli, aspettiamo un poco che si intiepidiscano e potremo spolparli e tagliarli a cubettoni irregolari. Bisogna stare attenti perché hanno sempre tantissimi ossicini minuscoli, fidatevi che qualcuna vi scapperà e ne troverete anche mangiandoli.

Io li spolpo e li faccio a pezzi anche a mano, sono morbidissimi dopo la cottura. E casualmente qualche pezzettino lo assaggio sempre, un sacrificio necessario per vedere se la carne è venuta bene. Mettiamo i pezzettini in una ciotola, e condiamoli con sale, pepe e aceto. Mescoliamo bene.

Tradizionalmente si facevano raffreddare e poi si impanavano e si friggevano, io preferisco metterli in una terrina sotto pressione (velo di carta forno e qualche scatola di pelati per esempio, in modo da comprimere bene) e lasciarlo a riposo una notte in frigo. Il naturale collagene si compatterà col freddo e il giorno dopo avrete un bel cubo di carne che taglierete a piacimento.

3
Fatto
10'

friggiamo e serviamo

Ho tagliato a fette larghe circa un paio di centimetri la carne, che era bella compattata e si tagliava agevolmente. Li ho coppati in forma quadrata, e li ho passati prima nell'uovo sbattuto poi nel pangrattato, la classica impanatura. Li ho poi fritti a circa 180° in olio di semi, bastano pochi minuti perché sono già cotti, deve solo dorarsi il pane.

Appena pronti lasciamoli scolare su una griglia e serviamoli. Io li ho serviti con delle bietole semplicemente lessate e condite con olio e limone, e visto che avevo l'olio pronto per un'altra frittura ho fatto i miei sgonfiotti . Ma potete servirli con quello che volete.

In genere coi fritti si usano delle salsine perché la frittura secca un po' l'alimento, in questo caso non è necessario. Il passaggio nell'olio riscalda la carne internamente, il collagene si scioglie e l'interno diventa immediatamente morbidissimo ed estremamente succulento.

Di contro, non essendo un alimento umido, la panatura resiste perfettamente, basta vedere la foto dove ne ho tagliato uno a metà, si vede l'impanatura perfettamente attaccata alla carne. E non c'è nemmeno bisogno di fare una doppia impanatura, ne basta una.

Recensioni Ricette

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spaghetti con melanzane bianche, pere e crosta di brie
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Spaghetti melanzane bianche e pere con crema di croste di brie
cima alla genovese
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Cima alla genovese
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4 Commenti Nascondi i commenti

beh la preparazione lunghetta ma ne è valsa la pena.Adoro le vecchie ricette sanno di storia di tradizione del desco di quando il cibo non era alterato da plastica,pesticidi antibiotici e c’era la fame e la voglia di ciaccolare davanti al tavolo.Li ho serviti con la salsa triestina Liptauer per rimanere nella tradizione e la crescia delle Marche (sono marchigiana trapiantata in Friuli)e non ne sono avanzati Grazie

Ciao Luciana, grazie per il tuo feedback. Sono perfettamente d’accordo con te sulle vecchie ricette, di quando c’era più convivialità e unione famigliare. Davvero contenta che ti siano piaciuti 🙂

Bella, come tutte le tue ricette. Il mio problema è che stando da solo, non cucino piatti particolari per me, mentre curo estremamente il menù se invito gente a mangiare. Negli anni ho notato che stanno diminuendo gli onnivori e allora ho messo un file sul pc dove annoto cosa non mangia quella persona, in modo da evitare smacchi. Questa ricetta fa parte di quei piatti buonissimi che purtroppo sempre meno gente sa apprezzare. Lo stesso vale per tutto ciò che sia anche lontanamente simile alla selvaggina (es. quaglie e piccioni, nonostante siano di allevamento). Tu dirai: cambia amici…Forse sarebbe la mossa giusta, per non parlare della marea montante di allergici a qualcosa, veri o presunti. Grazie della ricetta

Ciao Vincent, bella l’idea del file con le caratteristiche personali. Sai che mi hai dato una bella idea? lo farò anche io perché contare solo sulla propria memoria non è mai una bella mossa 🙂 Hai ragione sul fatto che molte ricette si apprezzano meno, credo che anche in questo campo ci sia una sorta di evoluzione. Il cambiamento delle condizioni di vita fà si che vecchie ricette contadine, forse un po’ tropo sostanziose per i giorni nostri, piano piano si facciano sempre meno. E non cambiare gli amici! Se sono buoni, meglio tenerseli, allergici o meno:-) un abbraccio

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